domenica 14 maggio 2017

Dal Padiglione Usa il manifesto degli artisti anti-Trump #BiennaleVenezia2017

Mark Bradford & me
Un appello a resistere all’amministrazione Trump, a non rimanere in periferia: dalla Biennale di Venezia, il padiglione statunitense è un manifesto dell’artista californiano Mark Bradford (nella foto mentre chiacchiera con me) contro il nuovo presidente degli Stati Uniti.
Bradford, nato a Los Angeles nel 1961, è stato scelto quest’anno per rappresentare l’arte contemporanea del suo Paese nella 57esima edizione dell'Esposizione internazionale d'arte prima della vittoria del magnate newyorkese nel voto dell’8 novembre. «È stato come se ci mancasse la terra sotto i piedi», racconta dinanzi alla bandiera del suo Paese. Inevitabile non parlare di questo «scossone» nel suo lavoro di artista, anche se ammette che «bisogna accettare l’instabilità: è una tale novità che un artista deve accettare questa specie di crollo, questa sorpresa. E dunque, a suo giudizio, l’artista «non deve rimanere in periferia» rispetto alla nuova amministrazione. «Credo che gli artisti e le persone progressiste debbano fare più di quello che fanno».

Con la sua proposta artistica "Tomorrow is another day" ha trasformato lo storico padiglione degli Stati Uniti nello spazio dei Giardini in un ambiente nel quale lo spettatore si sente vulnerabile. Al padiglione si accede da un lato, no dal portico centrale: è l'entrata di servizio usata dal personale. Lo spazio è invaso dalla prima creazione, "Spoiled foot", una gigantesca escrescenza che quasi tocca il tetto, fatto con tela, trucioli di legno e cartongesso. I visitatori sono obbligati ad attraversla ai margini della sala, quasi spalle al mura: metafora della contrapposizione tra chi vive ai margini e il potere sempre più centralizzato e incombente. La sala successiva è occupata da "Medusa", una forma in vernice acrilica, carta, mastice, ricorda l’invasiva presenza del personaggio mitologico; sulle pareti una serie di dipinti realizzati sulle cartine per permanente “annegate” in vernice iridescente nera e porpora sino ad ottenere un effetto  di materia profonda e cangiante che “evoca il mare ed il moto ondoso”. Raffigurano donne imporanti nella vita di Bradford e nella cultura popolare americana.  Nell’ultima sala, un singolo video realizzato da Bradford nel 2005 allude all’evoluzione e alla resilienza dell’identità dei neri americani.  Il protagonista del video, intitolato "Niagara", è Melvin, un ex vicino di casa di Bradford, che si allontana dalla fotocamera camminando, come faceva Marilyn Monroe nell’omonimo film, quale metafora della ricerca personale di un altro domani.
Bradford - le cui opere hanno raggiunto quotazioni stellari in aste internazionali ("Constitution IV" è stata battuta per 5,7 milioni di dollari nel 2005) - assicura che nulla di ciò che ha portato a Venezia è totalmente nuovo: «Ho sempre pensato all’idea del crollo, anche prima di Trump». «E che quando uno vuole scappare correndo, succede esattamente il contrario di quello che vorrebbe. Non possiamo scappare, dobbiamo fare più pressione, dobbiamo gridare ancora di più».
Al progetto l’artista ha affiancato anche una collaborazione off, che muove i primi passi a Venezia proprio durante l’opening della Biennale e durerà sei anni. Un progetto sostenibile e a scopo filantropico, pensato con la cooperativa no profit Rio Terà dei Pensieri, nata per reintegrare nella società uomini e donne che hanno scontato un periodo di detenzione, creando per loro opportunità occupazionali. Per Processo Collettivo – questo il nome dell’iniziativa – Bradford aiuterà a sviluppare un negozio su strada che venderà i prodotti artigianali realizzati dai detenuti.


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