giovedì 16 febbraio 2017

A proposito di Lavagna, la testimonianza di un papà

Ho ricevuto questa riflessione a proposito della tragedia di Lavagna (dove un sedicenne si è ucciso dopo che la Finanza, chiamata dalla madre, in un blitz nella sua scuola gli aveva trovato addosso qualche grammo di fumo). L'ha scritta un papà e ve la propongo. 

Sono giorni che i fatti di Lavagna mi rimbombano in testa. E più ne leggo più l'esigenza di dire qualcosa cresce.
Essere genitore è una delle cose più difficili da fare. E te ne rendi conto solo quando lo diventi.
Un susseguirsi di decisioni da prendere "per il suo bene", o almeno così ci raccontiamo noi genitori. Decisioni non sempre giuste, non sempre facili, non sempre condivise dalla controparte, i nostri figli. Decisioni che comunque vanno prese, anche se la notte poi non ci dormi.

Un mestiere difficile, quello del genitore; un mestiere che non ammette scorciatoie. La coerenza rimane uno degli scogli più difficili da superare. Una decisione presa senza coerenza, in cui parole e azioni sono dissonanti, è destinata a finire in tragedia. Ed è così dannatamente difficile essere coerenti con se stessi, figuriamoci per i  figli adolescenti. Ma a noi è stato dato l'onere della loro crescita.
Che la piccolotta di casa, un giorno avrebbe incontrato le droghe ne ero cosciente.
Più la vedevo crescere ed avvicinarsi all'adolescenza più ero consapevole che prima o poi, come tutti, la "droga", in un  modo o nell'altro avrebbe fatto la sua comparsa. Come sapevo che fondamentale sarebbe stato prepararla a quel momento.
Sarà perché sono cresciuto negli anni '80, sarà perché ricordo ancora il macrabo albero in piazza, passaggio obbligato per andare al parco con mia madre (un albero pieno di siringhe conficcate nella corteccia), sarà perché crescendo in questa società ho visto le dipendenze da alcol, tabacco, eroina, cocaina, fumo, erba, cibo, sesso, potere (le ho viste perché esistono e agiscono, tutti i giorni e in qualunque posto del globo) sapevo che prima o poi la "gnappa" avrebbe visto, volente o nolente le stesse cose. Era solo una questione di tempo.
Non ci misi molto a capire quando era arrivato il momento. Bastò semplicemente ascoltare e osservare.
Il primo campanello fu un cambiamento nella canzoni che ascoltava, che continuavano a ripetere il nome di Maria e dei suoi mistici effetti. Il secondo fu sorprenderla a vedere un talk show politico un cui si parlava di antiproibizionismo, e sentirla inveire contro Giovanardi che parlava. Il terzo quando venne da me a dirmi che lei era per l'antiproibizionismo.
La sera ci riunimmo la madre ed io per parlarne. Era arrivato il momento.
Evitare la criminalizzazione, attenuare l'effetto trasgressione che inevitabilmente prende a quell'età, non colpevolizzare, informare ed informarsi la dove necessario, parlare, ascoltare, confrontarsi.
Iniziai a rispondere alle sue domande in modo sempre più preciso, non evitando il confronto.
Gli smontai, miti e leggende che inevitabilmente a quell'età si creano, si parlò di droghe di effetti, di cause, di pericoli e via via dicendo.
E intanto la osservavo. Quanto rientrava cercavo discretamente nei suoi atteggiamenti un segnale. Volevo capire se quando e come avrebbe avuto bisogno di un mio aiuto.
Successe un sabato pomeriggio.
Ero da solo in casa aspettando la piccolotta che tornava dopo essere uscita con i suoi amici, e la mia compagna che sarebbe rientrata dal lavoro.
Sono circa le 16.30 e il citofono suona, la piccola è tornata.
Appena varca la soglia della porta  mi accorgo di qualche cosa che non va.
Anche se fa finta di nulla si vede che trattiene l'agitazione.
Mi saluta a mezza bocca e va verso la cucina. La seguo con lo sguardo.
Apre il frigo e la vedo attaccarsi alla bottiglia del latte.
Capisco che il momento è arrivato.
Mi avvicino e gli domando se mi deve dire qualcosa. Prova a sviare rispondendo un "niente perché?"
La guardo e gli spiego che entrare in casa con due occhi rossi e come prima cosa attaccarsi al latte alle 16.30 del pomeriggio... Non faccio in tempo a finire la frase che lei sbotta in lacrime dicendo "Mi sono fumata una canna e mi sento male... ma non dirlo a mamma".
L'ho abbracciata.
La madre è rientrata un quel momento ed ha capito.
Non abbiamo chiamato la polizia, né la finanza, né carabinieri, né pompieri, né ambulanza.
Abbiamo semplicemente parlato, cercando di capire, cercando di farla tranquillizzare, e di fargli passare l'attacco di panico che stava subendo per quella sensazioni di 'fattanza' che aveva. Cercando di sdrammatizzare, i discorsi seri, se ce ne fosse stato bisogno, non andavano di certo fatti quel giorno. Non aveva ancora 15 anni.

Quella stessa sera la piccolotta mi chiamò da parte, mi diete un sacchettino e disse "tieni, io questa non la voglio, non mi serve". Dentro il sacchetto due canne della peggiore erba che avessi visto in vita mia.
Da quel giorno la piccolotta ha deciso che droghe ed alcol non fanno per lei. Non giudica chi le usa, è per la liberalizzazione, ma dice che non ama la senzazione di perdere il controllo, non gli piace e non vede il perché debba ingerire o fumare qualche sostanza che la faccia stare in quella situazione.

La nostra è certo un'esperienza soggettiva, ma mi andava di raccontarla perché proibizionismo e criminilizazzione  uccidono; mentre ascolto, dialogo e comprensione aiutano a crescere affrontando le problematiche della vita, accrescendo risorse, informazioni e consapevolezza nel decidere delle proprie azioni, del non voler essere vittima delle proprie o altrui paure.

Non sono certo qui per giudicare l'operato della famiglia di quel povero ragazzo di Lavagna, suicida a 16 anni per 10 grammi di fumo: ognuno fa i conti con le proprie azioni e il dolore che esse possono provocare.  Ma non sono nemmeno qui per sollevare dalle proprie responsabilità gli uomini in divisa. Lo stato è una catena di comando, e se una legge uccide ne sono responsabili sia i firmatari della legge, sia gli uomini che la fanno applicare. Perché il nazismo ci ha insegnato che a volte è necessario opporsi ad un ordine, perché il non ribellarsi è sintomo di complicità.
Perché se è vero che alcune droghe uccidono, è anche vero che la legge - che dovrebbe combatterle - uccide, e quello di Lavagna non è né purtroppo sarà l'ultimo caso.

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