venerdì 11 dicembre 2015

Genio e leggerezza prima della catastrofe



Può esistere un periodo di creatività straordinaria mentre la nazione corre verso la catastrofe di una guerra mondiale? Assolutamente sì. Nel Ventennio le arti decorative sono state infatti l'unico ambito in cui è sopravvissuto un autentico e reale libero arbitrio e lo dimostra l'innovativa, eccentrica, spiazzante produzione tra le due guerre ben documentata dalla mostra "Dal liberty al design italiano" in corso fino al 17 gennaio al Palazzo delle Esposizioni di Roma. "Le arti decorative", spiega Guy Cogeval, il presidente del museo d'Orsay, nel catalogo edito da Skira, "dai mobili eccentrici di Carlo Bugatti, alle invenzioni dei Futuristi, fino alle inaspettate sedie rosse di Marcello Piacentini, ci parlano di una creatività gioiosa, di una capacità inventiva senza limiti, ma soprattutto definiscono un carattere italiano che ancora oggi contraddistingue il design, la moda, l'arte".
E in effetti quei tinelli, quei vasi soffiati a Venezia, quei servizi da caffè, quelle poltroncine, quei piatti in vetrina sembrano così moderni da poter essere proposti in uno dei contemporanei saloni del mobile. Le sedute, ad esempio, firmate da due tra le più importanti figure del primo razionalismo italiano: Gino Levi Montalcini, fratello della scienziata ebrea Rita Levi Montalcini, e da Giuseppe Pagano, che morì nel 1945 nemmeno cinquant’anni nel campo di concentramento di Melk dopo essere stato deportato da Mauthausen. O la lampada Bilia di Gio Ponti, l'architetto di Milano che  divenne promotore dell’industrial design italiano con la produzione in serie dell’arredo d’interni proponendola come soluzione “sofisticata”, economica, “democratica” e moderna.
La rassegna, un centinaio di opere, ha come sottotitolo "La Dolce vita?" e segue un percorso cronologico. Si parte dell'Art Nouveau, noto in Italia come 'stile Liberty' - ben riconoscibile dalle linee curve ispirate alla natura - che si impose nel clima di ottimismo del governo Giolitti con la prima Esposizione Internazionale delle arti Decorative di Torino del 1902. Ci sono i mobili rivestiti di pergamena dalle forme fantastiche e zoomorfe di Carlo Bugatti, e quelli con intarsi di madreperla di Eugenio Quarti, o ancora le opere in ferro battuto ispirate alla natura di Alessandro Mazzucotelli. La loro arte si ricollega all'opera dei pittori divisionisti come Previati, Segatini, Pellizza da Volpedo.
Al gusto Liberty divenuto lo stile dominante della nuova classe borghese, si oppone il movimento Futurista. Nato nel 1909 col manifesto di Tommaso Marinetti, si estende alle arti decorative solo dopo la Prima guerra mondiale: in mostra ci sono opere di Gino Severini, Umberto Boccioni, Giacomo Balla, Luigi Russolo, Fortunato Depero.
La sezione intitolata 'Metafisica' documenta invece gli anni del “ritorno all'ordine” che seguono in tutta Europa la stagione delle avanguardie assumendo in Italia diverse declinazioni nell'ambito delle arti plastiche e decorative, da De Chirico e Savino a Felice Casorati. Nel 1922 nasce il movimento 'Novecento italiano' che propone un ritorno al 'classicismo moderno', fondato su purezza di forme e armonia della composizione, destinato a divenire l'espressione ufficiale del regime. La mostra si chiude con il movimento razionalista, caratterizzato da mobili dalle forme pure, prive di decorazioni, con materiali innovativi come il tubolare metallico, giungendo all'integrazione delle arti con il mondo dell'industria ben testimoniato dalla radio di Francesco Albini e dalla macchina da scrivere Olivetti di Aldo Magnelli.

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