venerdì 18 ottobre 2013

Tutte le menzogne del boia Priebke

Primo. Erich Priebke mente dicendo che i comandi tedeschi avevano affisso manifesti in cui minacciavano rappresaglie in caso di azioni contro di loro. I manifesti fatti affiggere da Kesselring dopo l'occupazione di Roma dicevano che i colpevoli di azioni antitedesche (quindi: non ostaggi che non c'entravano) sarebbero stati puniti secondo il codice militare germanico. Un manifesto sulle Fosse Ardeatine fu affisso, ma dopo, a strage avvenuta. E dimenticano la fatidica frase finale, «quest'ordine è già stato eseguito». Le persone che dicono di averlo visto prima sono forse tratte in inganno dall'errore di sintassi in cui si dice che 10 italiani per un tedesco «saranno» uccisi. Tutto questo Priebke lo sapeva benissimo, visto che era al comando. Se dice il contrario non è perché si sbaglia ma perché mente.

Secondo. Priebke ripete l'affermazione secondo cui i «comunisti» fecero l'«attentato» proprio per provocare la rappresaglia. Intanto, come fa a saperlo? E poi: ancora negli anni '90, il giudice Pacioni provò caparbiamente a incriminare i partigiani Bentivegna, Capponi e Balsamo con questa accusa, ma fu costretto a lasciarla cadere e a prendere atto che, per quanto l'avesse cercata, non esisteva uno straccio di prova in proposito. Se adesso Priebke lo ripete, o se glielo fanno ripetere i manipolatori di cui è stato consenziente pupazzo, lo fa sapendo di non dire la verità.
Terzo: non poteva non obbedire all'ordine. Intanto, se davvero avesse fatto tutto questo solo perché costretto, forse qualche segno di turbamento vero nei settant'anni seguenti, l'avrebbe mostrato. Poi: non è vero che gli ordini di Hitler non si potessero discutere: Hitler aveva ordinato di far saltare in aria il centro di Roma e deportare diecimila persone, poi di uccidere 50 italiani per un tedesco, solo dopo una estenuante trattativa si arriva al 10 a 1. La cosiddetta «legge dei dieci italiani per un tedesco» non è mai esistita: basta fare qualche conto elementare sui datti delle centinaia di stragi naziste per trovare un'aritmetica assolutamente variabile (a Civitella Val di Chiana sono 156 contro 3).
E infine: ma chi l'ha obbligato, Erich Priebke, a mettersi nella condizione di ricevere un ordine simile? Non era mica obbligato, negli anni '30, ad accettare l'inquadramento nella SS (a proposito: erano un corpo di polizia di partito, non facevano parte delle forze armate. Quindi, Priebke mente anche quando dice che era un «soldato»). Una volta entrato senza che nessuno lo costringesse in quell'organizzazione, Priebke aveva volontariamente consegnato la coscienza a Hitler; è inutile che si lamenti poi se Hitler ne ha fatto quello che ne ha fatto. Per tutti i suoi 100 anni, Priebke ha portato la coscienza all'ammasso: come è stato un boia disponibile nelle mani del regime, è stato un pupazzo consenziente nelle mani dei suoi cosiddetti avvocati, e ripete fino a dopo morto le bugie che questi gli hanno messo in bocca. Se adesso stiamo qui a discutere di queste menzogne è anche perché il sistema dei media ci sta facendo perdere il senso della distinzione fra ciò che è vero e ciò che non lo è. In televisione, oggettività significa per condicio fra «tesi» contrapposte, fregandosene di chiedersi se una è sensata e l'altra no (ma come si fa a mettere sullo stesso piano Giulia Spizzichino e l'avvocato Taormina?). Nella rete, come in certe nostre città, rischiamo che l'aria pulita sia soffocata da ogni genere di spazzatura che circola con la stessa apparente dignità (ma non c'è nessuno a youtube che blocchi questi veleni?). Infine, ho l'impressione che i media si siano lasciati sfuggire una grande notizia: se prendiamo sul serio quello che dice Priebke, forse allora - dato che lo dice lui - dovremmo metterci anche a discutere se la Shoah è davvero esistita. In fondo, se gli diamo ascolto quando parla di complotti comunisti e di ordini irresistibili, non capisco perché non dovremmo considerarlo un «testimone» quando parla della Shoah. Oppure: se quando cestiniamo il suo negazionismo sul genocidio, per quale masochismo continuiamo a prendere sul serio tutto il resto? (Sandro Portelli, per il Manifesto)

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