giovedì 11 luglio 2013

Stalin e l'anarchia

Storie nostre
di Tiziano Antonelli per Umanità Nova

Mi è capitato fra le mani un libretto, pubblicato nel 1950 dalle Edizioni Rinascita. Questo libro raccoglie una serie di articoli scritti da Stalin in polemica con gli anarchici georgiani nel 1905 e nel 1906.
In quegli anni la Russia viveva un effimero periodo di libertà, in conseguenza della rivoluzione del 1905 e anche a Tiflis, oggi Tbilisi, capitale della Georgia, dove allora Stalin abitava, divampava la polemica fra anarchici e socialdemocratici. Il gruppo anarchico di Tiflis pubblicava i giornali “Nabati” (L'Appello), “Muscia” e altri. I gruppi rivoluzionari, affratellati dalla lotta contro l'autocrazia zarista, andavano differenziandosi secondo i metodi di lotta: i socialdemocratici approfittavano dei pochi spazi di libertà per dedicarsi al loro sport preferito: la lotta elettorale, attirandosi le critiche dei rivoluzionari e in particolare degli anarchici. Stalin scrisse la serie di articoli dal titolo “Anarchia o socialismo?” che furono pubblicati sul giornale “Akhali Tskhovreba” (Vita Nuova) dal giugno al luglio 1906. Gli ultimi articoli vennero sequestrati dalla polizia quando il rigurgito reazionario dello zarismo mise fine alle illusioni legalitarie dei socialdemocratici e ai loro giornali legali.
Scopo di Stalin in questi articoli era di caratterizzare il marxismo, analizzare le critiche anarchiche al marxismo e poi passare a criticare l'anarchia stessa. In particolare gli articoli pubblicati trattano del metodo dialettico, della teoria materialista, del socialismo proletario. Gli articoli più esplicitamente dedicati alla critica dell'anarchia, alla tattica e all'organizzazione del movimento anarchico non sono stati pubblicati e probabilmente sono scomparsi in seguito all'azione repressiva della polizia zarista.
L'interesse di questi articoli sta innanzi tutto nello stile di Stalin: il suo ragionamento è didascalico, a volte pedante, e riesce a spiegare in modo semplice e sintetico anche i problemi più complessi; questo è un tratto che Stalin conserverà sempre, anche nelle ultime opere, come il “Problemi economici del socialismo in URSS” del 1952. Il lavoro di Stalin ci fornisce quindi una descrizione attendibile del “socialismo scientifico”, degli elementi teorici condivisi dalla Seconda e dalla Terza Internazionale; allo stesso modo ci fornisce un tracciato delle critiche marxiste all'anarchismo in generale e in particolare alle interpretazioni teoriche diffuse nel movimento anarchico all'inizio del secolo scorso.
Questo volume inoltre, anche se pubblicato in italiano in pieno “culto della personalità”, dimostra che Stalin ha condiviso le posizioni di Lenin e della socialdemocrazia internazionale per molti anni, testi di Stalin furono pubblicati dal Partito Comunista d'Italia, guidato da Bordiga, negli anni 20 del secolo scorso; in questo contesto parlare di degenerazione staliniana rispetto al corretto insegnamento di Lenin e di Marx appare problematico: lo stalinismo è una delle possibili varianti della concezione autoritaria, legalitaria e riformista di Carlo Marx.
La serie di articoli contro gli anarchici georgiani inizia dall'esposizione del metodo dialettico: secondo Stalin il metodo dialettico rappresenta il continuo movimento della vita, in cui ogni giorno qualcosa nasce e cresce, e qualcos'altro deperisce e muore. Il metodo dialettico quindi aiuta a capire che il proletariato nasce e cresce, cresce di giorno in giorno, mentre la borghesia invecchia e va verso la tomba; quindi per quanto forte e numerosa sia oggi la borghesia sarà sconfitta. Il metodo dialettico quindi aiuta a comprendere le cause sociali delle rivoluzioni, che per Stalin (e Marx prima di lui) si chiamano “sviluppo delle forze produttive”.
Successivamente passa ad occuparsi della teoria materialista di Marx ed Engels, il cui scopo è legittimare la politica socialdemocratica. Infatti, quando passa ad occuparsi del “socialismo proletario”, Stalin sostiene che la teoria materialista individua quale ideale può rendere un servizio diretto al proletariato, sulla base del rapporto di questo ideale con lo sviluppo economico del paese; è la teoria materialista che permette di capire se un dato ideale corrisponda pienamente alle esigenze di questo sviluppo. Che il concetto di sviluppo economico sia da intendersi nell'ambito angusto della crescita della produzione capitalistica, è confermato più sotto, là dove Stalin afferma che “dobbiamo salutare l'estendersi della produzione”; in quest'ottica appare chiara l'inadeguatezza dell'anarchismo, ideale che “contrasta con gli interessi di una poderosa estensione della produzione”, l'idea anarchica, quindi, “è nociva al proletariato”.
E' ovvio che, se interesse economico del proletariato è lo sviluppo dell'economia capitalista, suo interesse politico sarà l'instaurazione della repubblica borghese; infatti, fino all'aprile del 1917, il programma dei socialdemocratici non andava oltre la costituente e l'instaurazione della repubblica democratica. Fu lo sviluppo dei soviet e la crescente influenza del movimento anarchico all'interno di essi che spinsero Lenin ad adottare un programma rivoluzionario, rapidamente gettato alle ortiche una volta che il potere bolscevico si fu consolidato.
Ma torniamo al ragionamento di Stalin: la prassi, la politica della socialdemocrazia sono corrette perché sviluppate in modo deduttivo a partire da metodo dialettico e dalla teoria materialista di Marx ed Engels; il metodo dialettico e la teoria materialista offrono una corretta interpretazione della realtà perché su di esse si basa l'azione del proletariato influenza dalla socialdemocrazia. Ridotto all'osso questo è il ragionamento circolare di Stalin, condiviso in forme più eleganti e sofisticate da tutti i socialisti autoritari.
Il brano sul socialismo “proletario” prosegue occupandosi della dittatura del proletariato e della lotta parlamentare; Stalin ovviamente difende la concezione autoritaria e legalitaria della socialdemocrazia, e attacca gli anarchici. L'esperienza ha dimostrato che la dittatura del proletariato ha portato alla ricostruzione del regime capitalistico, mentre la lotta parlamentare ha portato alla corruzione delle forze socialiste e comuniste che vi hanno partecipato, confermando le previsioni degli anarchici.
Più che la conferma di singoli punti, è stato confermato l'approccio sostenuto dal movimento anarchico: i socialisti autoritari hanno sempre sostenuto e continuano a sostenere che la teoria e la strategia del partito sono le armi principali per garantire il successo rivoluzionario e il pericolo delle degenerazioni; la corretta applicazione dei principi del socialismo scientifico è garantita dalla disciplina e dalla sottomissione dei militanti ai dirigenti, unici in grado di interpretare le parole dei profeti. La storia ha dimostrato che i partiti autoritari sono crollati miseramente di fronte all'aggressione dello Stato; è successo ai partiti socialisti in Germania e in Italia di fronte all'aggressione fascista, è successo ai partiti comunisti che si sono adeguati progressivamente al sistema, rivedendo poco alla volta i principi fondamentali, transigendo in cambio di un pugno di voti o di una fetta di potere. Questo è successo perché i dirigenti socialisti o comunisti erano malvagi, deboli, infidi? Forse, o forse erano i migliori militanti del movimento operaio. Gli anarchici hanno sempre sostenuto che la funzione finisce per corrompere anche il migliore, che ogni governo, per sua natura, ha bisogno di un ceto privilegiato che lo appoggi poiché non potendo accontentar tutti avrebbe bisogno di una classe economicamente potente che lo appoggi in cambio della protezione legale e materiale che ne riceve; che ogni parlamentare, sia pure il più rivoluzionario, è costretto a mediare con i parlamentari delle altre forze politiche per far passare qualche misura a favore degli operai, ad annacquare il proprio programma per ottenere qualche voto in più. In tal modo, quel poco di bene che viene ai ceti popolari dall'azione parlamentare dei loro rappresentanti, viene vanificato dalla corruzione e dalla divisione che si genera tra gli stessi ceti popolari.
Per gli anarchici, la strada imboccata conduce inevitabilmente ad una destinazione, la strada della delega e del governo non può portare all'emancipazione del proletariato. In altre parole è l'attività pratico-sensibile degli uomini che determina il loro essere e, in ultima istanza, anche le loro convinzioni, e non viceversa. Questa è la base del materialismo degli anarchici, è la base della diffidenza versi i socialisti “scientifici” che, dietro le loro formule astruse, cercano solo di sottomettere i movimenti di trasformazione sociale ai loro interessi di partito. Per questo i dottrinari, alla cui schiera indubbiamente Stalin appartiene, hanno in odio l'anarchismo: l'autonomia del proletariato, l'organizzazione federalista e autogestionaria, l'abolizione dello Stato, elementi caratterizzanti dell'anarchismo, segnano la fine del loro ruolo nefasto.

Nessun commento:

Posta un commento